Citalopram. (ovvero perché hanno vinto loro)

ATTENZIONE: il nuovo articolo di Paolo Barnard che qui riporto potrebbe innescarti uno stato mentale non favorevole a festeggiamenti o speranza per un futuro migliore.

Quello che posso premettere è: tutto sta per crollare, speriamo solo non avvenga con violenza (e purtroppo le recenti non sono ottimiste). Teniamoci buona la nostra buona coscienza, i nostri buoni valori, i nostri buoni amici, il nostro caro Senso della Vita, che presto saranno le nostre uniche stelle polari.

Citalopram.

di Paolo Barnard

Ci voleva una sosta alle tre del mattino in un Fini grill lungo un’autostrada italiana. Nevica, ho fame, non c’è anima viva. Ed è qui, sotto al neon di questo banale luogo, che capisco quello che finora non mi era arrivato, che capisco quanto abbia vinto il Vero Potere, e quanto finita sia l’era plurisecolare dei popoli protagonisti del loro destino. Spiacente, le notizie sono pessime, ma quanto segue è fondamentale per un solo motivo: vivere e morire sapendo cosa accade. Almeno quello.

Ci sono due dipendenti dietro al banco, lui non è di queste parti, lo si vede lontano un miglio, ma è italiano. Lei, sempre italiana, è una copia un po’ sottolivello di Julia Roberts, ma accidenti che somiglianza. Mangia una burrella mentre pulisce un forno, io ordino un panino alla cotoletta di pollo. La musica è orribile, una specie di techno plasticata made in China, eppure devo a quei suoni dementi l’innesco della mia conversazione coi due. “Ma non diventate scemi con sta colonna sonora?” Lui: “Gli tirerei una bomba”, e ride. “E spegnerla?” incalzo, mentre con lo stesso fiato gli ricordo che il panino me lo deve scaldare bene, giusto quanto basta a non mangiare un pane caldo e una cotoletta gelida. Lui “La musica, la mettono su in ufficio, e non abbiamo le chiavi… un’altra gentilezza per noi in sto bel lavoro”.

Flash back di 200 anni. In Europa furoreggiavano le idee di Thomas Robert Malthus, un economista che si occupò di teoria del valore del lavoro (prima di Marx). Pensava, questo gentleman, che la soluzione per i problemi dei lavoratori di allora, una massa di schiavi poco sopra l’animalità nella sussistenza, era di decimarli di fame, malattie, stenti vari, per compassione. Non scherzo. Egli aveva formulato una teoria (del tutto fantasiosa) secondo la quale la crescita della popolazione era geometrica, mentre quella dei beni alimentari era aritmetica, per cui non ci sarebbe mai stato da mangiare a sufficienza per garantire benessere a tutti. Allora che fare? Bè, disse Malthus, se la plebe viene accudita con sanità, igiene, abitazioni decenti e salari minimi essa figlierà di più, crescerà di numero a fronte di beni alimentari insufficienti e farà la fame ancor peggio. Per cui compassione vuole, declamò l’economista, che rimangano come stanno e si auto riducano decimandosi nella miseria e nella malattia, soffriranno di meno. Voilà. Non è uno sketch noir di Aldo Giovanni e Giacomo, non accadeva sotto Attila l’Unno. E’ tutto vero e lo possiamo datare solo due vite consecutive di due centenari fa, in piena Europa civilizzata, non in Mongolia sotto un re pazzoide. Ma quei lavoratori ce l’hanno fatta, cioè in quelle condizioni inimmaginabili e con un Potere incomparabilmente soverchiante che trovava plausibile simili idee, seppero ribaltare la propria storia, in un’epica di coraggio che nessuno scrittore potrà mai rendere su carta. Attenzione, oggi un operaio di Pomigliano che decidesse di imitare quegli eroi di 200 anni fa rischierebbe il licenziamento, un sacco di problemi economici pesanti, anche disperazione per la ricerca di un altro lavoro, chiuso nel suo appartamentino, forse con un aiuto dalla famiglia o forse no, la sera al bar depresso giustamente. Il suo omologo ai tempi di Malthus sapeva che il pegno per la ribellione al Potere era di essere pestato dai gendarmi fino a spaccargli femori, clavicole e cranio, e se sopravviveva crepava poi in una cella fetida, il corpo spariva in una fossa di calce viva, sua moglie e i suoi bambini rimanevano nei tuguri fra i maiali e i cani a morire di fame, lei non avrebbe superato i trent’anni fra tubercolosi e setticemie, i bimbi sarebbero o morti di freddo una notte, oppure dovevano essere venduti a una compagnia mineraria a lavorare. Fine della ribellione dell’operaio. Questo gli sarebbe toccato, a lui e ai suoi pari, cioè pene atroci lungo la breve strada delle perdita della loro vita che si trascinava dietro, sempre fra pene incalcolabili, quella di chiunque essi amassero di più. Ma non si fermarono. Ho scritto ciò affinché nessuno osi argomentare l’usuale cretinata secondo cui quegli uomini e quelle donne seppero agire contro il Potere perché “non avevano nulla da perdere”, ovvero la pietosa scappatoia retorica di chi non ha le palle per vedere che razza di patetici vigliacchi siamo diventati 200 anni dopo quegli esempi eccezionali. Patetici vigliacchi incapaci di pagare alcun prezzo per il cambiamento.

Il panino è rovente, colpa mia. Mi parte una curiosità. Di questi tempi in cui mi occupo del piano settantennale di deflazione degli stipendi voluto dal Vero Potere, cosa guadagna un tizio che lavora in un Fini grill? Glielo chiedo. Dapprima i due esitano presi in contropiede dalla domanda, e tergiversano con battute scontate. Allora li aggiro ai fianchi e riparto con le ore di lavoro: part time? Full time? Determinato o indeterminato? Salta fuori che lei è part, lui è full con 40 ore, entrambi determinato. “Insomma, dai, siete contenti per la paga?”. Li ho scaldati quanto basta e mi dicono no, secco. “Ma siete sopra o sotto i mille?” Lui mi guarda e io scruto la risposta negli occhi, forse mi dice una buona cifra, non ha la faccia di uno che becca mille miseri euro al mese: “Meno di mille, a conti fatti”. Rinculo. Eh? Lei: “Sai cosa vuol dire? Macché fare un mutuo, io non ce l’ho fatta neppure a farmi dare un cellulare a rate”. A lui in realtà danno qualche spicciolo più dei mille, ma il rimborso di benzina e autostrada è una miseria forfettaria, e così finisce che in tasca gli arrivano i due zeri e non i tre. Ok, penso, sono elementi perfetti, ora gli racconto tutto. Questo è un test importantissimo per me, e lo è perché sarà il cinquecentesimo che faccio di questo tipo, e vediamo se andrà come gli altri. Io, il comunicatore attivista, sono qui di fronte all’Italia, perché questa è l’Italia vera, e ora io sono il giornalista che sperimenta live come trasmettere il disvelamento del Potere a due sue vittime, ovvero come esso li ha aggirati, annichiliti e fottuti. Non c’è Facebook di mezzo, non ci sono i blogghettari di mezzo, non godo qui dell’esenzione stracomoda di chi affida le sue illuminate parole a un popolo fantasma di lettori che non avrà mai di fronte. Non sono al dibattito col pubblico dei sessanta cittadini – cioè il drappello dello 0,1% degli italiani di Repubblica, il Manifesto, Comedonchisciotte, David Icke e bla bla. Ok, questi sono l’Italia vera. Parto, anche se sto panino mi sta ustionando.

Prima cosa che gli dico è che mi occupo di economia, la seconda è che i loro guai vengono da lontano, che c’è un motivo preciso per cui sono a meno di mille al mese, che quella risicata paga non è affatto una necessità economica giustificata dalla crisi. Julia Roberts fa subito la donna media, e questo mi dispiace tantissimo. Cioè, con la faccia inconfondibile del ‘io di politica non capisco niente’ si stacca dalla conversazione e va a fare altro con in mano una scatola di Pocketcoffee da sistemare. Lui invece mi segue. Continuo, ora gli devo spiegare come accade che il circolo vizioso del wage deflation, produca investment deflation, che causa disoccupazione, che causa il fenomeno marxiano della reserve army of the unemployed, che scatena altra wage deflation, che porta a una competizione al ribasso dei salari e che porta dritto al loro stipendio, il tutto nel disegno neomercantile e neoagrario che il Vero Potere ha imposto agli Stati, senza parlare della folle parabola del asset price inflation che ha soffocato l’economia produttiva a favore del pension fund capitalism, con l’aggravante della perdita della sovranità monetaria, cioè il disastro dell’euro, coi suoi responsabili occulti sparsi fra Trilaterale e Bilderberg, cioè ancora il fatto che oggi lo Stato non può assolutamente più spendere a deficit per rimediare ai sopraccitati disastri creando net financial assets che aiuterebbero proprio quelli come lui, ecc. ecc. Ok. Tutto questo astruso costrutto è assolutamente necessario spiegare, al fine di dargli gli strumenti per capire chi e cosa veramente lo sta fottendo, perché se non conosce chi è il vero nemico del suo reddito e come si muove non potrà mai cambiare nulla.

So bene che non posso fare tutto ciò nel tempo di un panino già a metà, ma so che devo almeno iniziare a trasmettere il primo mattone, o forse il secondo, per aprirgli la prima consapevolezza da cui poi partire. Lo farò in parole veramente chiare, esempi chiarissimi che ho in mente da mesi, ok, ora lo faccio. Pronti, via.

Paolo Barnard, bla bla bla…. Lui “Eh, sì, l’Europa, sì, ma cosa fa lo Stato per me eh? Eh?”. P.B., no, guarda aspetta, lo Stato qui non c’entra più nulla, bla bla bla… Lui: “E Craxi? Eh? Quanto mi ha rubato a me Craxi? Perché tu dici del debito, ma l’ha fatto Craxi il debito pubblico, e se quei soldi li davano a noi per lavorare…” (questo è vittima di Travaglio, ecco i danni che fa quell’ignorante, nda). P. B., Craxi non c’entra, e Tangentopoli ha sottratto al massimo l’1% del PIL di allora, bla bla bla… Lui: “Ma senti un po’, tu sai cosa si prende lo Stato per il mio stipendio? Si prende altrettanto, cioè io prendo mille e lui si prende mille di tasse. Allora, se invece si prendesse 500 e il resto lo desse a me…” P.B., giusto, ma oggi abbiamo l’euro e le tasse non le possono più calare, sai perché? Perché Tremonti l’euro lo deve prendere in prestito dai privati bla bla bla… E lui di seguito con la storia di cosa spendono per le auto blu, per la Casta, e se torniamo alla lira poi c’è l’inflazione, e guarda l’America che ha moneta sovrana ma sta a pezzi, ma poi sono le banche che ci mangiano sopra… Io: sì, in parte è vero, però, no quello no, aspetta ti ho appena detto quella cosa lì, ripeto, capisco che ti hanno sempre detto così e cosà, ma bla bla bla… bla bla bla… e giù esempi, esempini, due più due, tre più tre, fino alla resa, perché lui mi sta seguendo sempre di meno, e non siamo neppure arrivati ad acquisire il primo concetto, che era che il governo oggi non c’entra più nulla col suo stipendio. Neppure questo è passato. Infatti il volenteroso uomo che ha accettato di ascoltarmi, sicuramente più che intellettivamente sveglio, mi sdogana con un bel “tanto era così con mio padre, ci rubavano in tasca, ed è così oggi con me, non cambia niente, va là…”. Gli dico: “Senti, ti va di leggere un paio di cose con calma per capire meglio?”. Ripete: “Non cambia niente, va là…”. Sipario.

Esco, nevica. E mi si apre il cielo, un cielo nero. Le altre 499 volte sono finite tutte così. Cioè sono finite con la persona che mi fa capire con assoluta chiarezza che l’ammontare delle cose da sapere per capire, dunque per agire sulla causa, è troppo, è troppo specialistico. Non ha tempo, non ha l’energia, non ha l’abitudine mentale, non può farcela a comprendere. NON PUO’. Punto. E sono mesi che ricevo email da tutta l’Italia scritte da ragazzi o lavoratori che mi dicono sempre la medesima cosa: “Ci proviamo a spiegare, ma li perdiamo per la strada… ci sbadigliano in faccia… ci danno del matto… insultano Berlusconi”.

Sono in auto, mi chiamo Paolo Barnard, nel settembre del 1989 sognai che il mio mestiere poteva cambiare le cose, e che io sarei stato uno di quelli che lo avrebbe permesso, io, parte del drappello degli attivisti per Un Mondo Migliore. Quello che ho fatto in 22 anni, cioè la quantità di iniziative, non è neppure raccontabile, per il semplice motivo che me ne ricordo un terzo, sono troppe. A metà percorso compresi che il Potere non stava dove tutti credono che stia. Ok, avrei diretto i cittadini al posto giusto. Poco dopo compresi cosa il Potere aveva fatto ai cittadini contemporanei, li aveva tutti paralizzati, veri zombie ambulanti incapaci, primi nella storia dell’umanità, di agire per cambiare il loro tempo. Ok, avrei trovato l’antidoto. Stanotte, nel parcheggio di questo Fini grill sotto la neve bagnata, con il parabrezza che piange lacrime di acqua a rivoli grossi come un dito sullo sfondo di un cielo nero stellato solo dalle luci dei piloni, capisco cosa veramente ci ha battuti e perché io sono del tutto inutile: le cose da sapere per cambiare veramente la nostra storia sono troppe, troppo specialistiche, e la gente non ha il tempo, non ha l’energia, non ha l’abitudine mentale, non può farcela a comprendere. Ma se non comprende, perderà sempre, non c’è via d’uscita da questo.

Capisco che dietro al piano nascosto del Vero Potere per annientare Stati, leggi e cittadini partecipativi, e che credevo fosse il muro contro cui finiva il suo cunicolo di intrighi, vi è un’altra idea. Cioè esiste in realtà un altro muro, che forma un’intercapedine nascosta entro la quale vive quell’idea, e non me n’ero reso conto. Ora la vedo, e mi stordisce talmente che non avvio neppure il motore dell’auto nonostante il gelo. Seguo solo le lacrime d’acqua sul parabrezza.

Mi torna alla mente la frase di Giuliano Amato, quando al Centro per la Riforma Europea di Londra, il 12 luglio del 2007, commentò il Trattato di Lisbona, che è quella Carta-Colpo di Stato che ha sottratto la democrazia a milioni di europei senza che nessuno ne sapesse nulla. Disse il ‘Dottor Sottile’: “Fu deciso che il documento fosse illeggibile… “. Ecco, questa è l’idea custodita in quella intercapedine, il fondo del male. Significa che il Vero Potere ha lavorato per rendere impossibile alla quasi totalità degli esseri umani capire come fa ciò che fa, perché il Potere sa che se non lo capiamo non potremo mai agire per combatterlo. Ovvero: a noi arrivano le conseguenze strazianti del suo volere – l’erosione dei diritti, la massificazione della povertà, la sottrazione totale della nostra autodeterminazione sul lavoro, nella salute, sul nostro destino entro la breve vita che abbiamo – ma ci ha reso di fatto impossibile comprendere da dove ci arrivano quei mali facendoli scaturire da percorsi talmente intricati da essere sia inspiegabili che incomprensibili al 99% di noi. “Fu deciso che il documento fosse illeggibile… “, cioè non l’avrebbero compreso i politici, tanto meno i cittadini, e chiunque si fosse arrangiato per spiegarlo sarebbe stato accolto con incredulità, noia, irritazione, o come un folle, da parte di persone per le quali è tutto troppo specialistico e non possono farcela a comprendere. Punto. Come i due dipendenti del Fini grill che ho alle spalle ora.

Ma state capendo la portata di questo? Sapete cosa significa in pratica? Significa che anche se mai venisse quell’immaginario giorno in cui milioni di esseri umani – precedentemente intontiti come zombie che vagano nell’Esistenza Commerciale e nella Cultura della Visibilità massmediatica – si svegliassero e in numeri sempre maggiori tornassero a partecipare, a reclamare, a saper pagare i prezzi della rivoluzione… anche mai accadesse una tale immaginaria cosa, tutto sarebbe comunque vano, non scalfirebbe in modo significativo il Vero Potere, perché tutta quella massa umana attiva marcerebbe contro gli obiettivi sbagliati, non avendo mai potuto comprendere da quali intricati meandri proviene il loro male. In un esempio immediato: anche se l’uomo cui ho appena parlato al Fini grill si trasformasse magicamente in un attivista senza paura e decidesse domattina di scagliarsi anima e corpo a reclamare un salario decente, finirebbe a stremarsi contro l’insignificante governo, contro l’impotente Tremonti, o contro le fandonie sulle tasse, sul debito dello Stato, o magari per ottenere l’inutile bolla di sapone del federalismo fiscale. Passerebbe anni a dare la sua vita per nulla. Il Vero Potere, indisturbato, rimarrebbe saldo al comando.

Il Vero Potere ha colpito ogni aspetto della nostra vita, ma non lo ha fatto con una manovra semplice, diretta, visibile, tale cioè da poter essere capita da quasi tutti e combattuta. Lo ha fatto costruendo meccanismi immensamente complicati, scatole cinesi impossibili da seguire, piazzandoci davanti agli occhi responsabili fasulli come fossero fantasmi di borotalco, e nascondendo la vera origine dei mali dietro a labirinti che quasi nessuno fra i cittadini è in grado di percorrere – cioè di capire o di spiegare agli altri – per arrivare a colpire quella origine.

Il bracciante europeo contemporaneo di Malthus, o quelli della rivoluzione industriale ottocentesca, i nostri contadini dei latifondi meridionali che sono giunti fino all’incomparabile dipinto che ne ha fatto Ignazio Silone, tutti questi miserabili dei secoli scorsi, avevano di certo immensi svantaggi rispetto a noi, e li ho descritti prima. Ma un vantaggio avevano, ed era d’importanza capitale: l’origine dei loro mali era elementare da comprendere, era alla luce del sole e composta di strutture semplici, tanto esse erano arroganti e sicure della propria invincibilità. Per chi sputava i polmoni sotto ciminiere infernali e a tavola trovava una polenta scondita con attorno cinque faccine luride e affamate; per chi lavorava i campi con metodi cavernicoli e un giorno al mese doveva aspettare fuori dalla porta del padrone al freddo fino al momento in cui egli si degnava di aprirgli per strappare dalle sue mani ogni singolo profitto del suo lavoro; per l’uomo che doveva mordersi l’anima e prestare la moglie alle luride richieste del prete del villaggio perché se quel porco non lo certificava come buon cristiano i padroni non l’avrebbero mai assunto… per tutti questi era chiaro chi fosse il Vero Potere, come agiva e i percorsi per strappargli le rivendicazioni; chiaro come un buco al centro del sole. Bastava alzare lo sguardo, non ci si sbagliava. C’era un obiettivo – smettere di morire da schiavi; un nemico – il padrone, il latifondista, il prete; c’era un unico scontro frontale sulle ali delle idee della giustizia sociale, anch’esse semplici come il pane. Così poterono arrivare ai gangli del loro male, e cambiare la loro storia. Il Vero Potere ha imparato quella lezione. Eccome che l’ha imparata.

Se prima, per renderti schiavo e senza diritti, gli occorreva un titolo d’autorità, un capitale, i gendarmi, e poco altro, oggi per arrivare a sostanzialmente lo stesso risultato (in rapporto alla modernità ovviamente) si sono inventati percorsi che assomigliano al districarsi fra i 178.243 cavi del collisore di particelle di Ginevra. Ma con la diabolica abilità di farci apparire come fonte del male le stesse semplici strutture di una volta: il governo, i padroni, la polizia, e poco altro. E siamo all’epilogo.

Vorrei accendere il motore della mia auto, veramente vorrei non aver pensato. Fra un’ora sarò a casa, davanti al mio pc, io, uno del gruppo di quelli che voleva Un Mondo Migliore. E adesso? Tu che vivi l’alienazione di questo sistema, tu per cui ho scritto dall’agosto del 2010 Il Più Grande Crimine con questi nove aggiornamenti, tu che sei di quelli della vera Italia del lavoro a rotoli, della sanità opzionale, delle scuole nel burrone… a te cosa dico adesso? Posso forse dirti che con una pinza, un cacciavite e ‘olio di gomito’ potremo cambiare i circuiti dei megaprocessori di Ginevra che ci controllano? Non posso, è impossibile. Dovrei fermarti una sera al ritorno dal tuo lavoro al Fini grill e condurti attraverso le settemila pagine dei manuali informatici necessari a capire e a combattere quella macchina infernale. Tu, stremato dai panini, dalla musica techno di plastica, e dalla sfiducia, mi manderesti a quel paese. E come te i milioni di altri. Eppure senza quello studio non si ferma neppure una lucina di un led in quel mostro di cavi e circuiti.

Hanno vinto loro, lo dico con immensa serietà. Quella intercapedine, quella idea… che incredibili bestie che sono stati. Li ammiro da un certo punto di vista, la perfezione del male suscita ammirazione per la sua immacolata forma senza errori.

Sarò ancora davanti a questo pc a scrivere altri aggiornamenti sul Più Grande Crimine, per due motivi: primo, perché l’ho visto e una volta visto non posso staccarmene. Secondo, perché devo lottare contro la depressione, e il Citalopram non lo prenderò mai più. Non funziona.

Stefano Cecere
Stefano Cecere
Ricercatore, Sviluppatore, Educatore, Attivista, Umanista, Papà.

Ricerco, Sviluppo e Condivido nell’intersezione tra Giochi, Educazione, Tecnologie Digitali, Creatività, Filosofia Umanista per una Politica Progressista 2050. E papà 2x

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